mardi 24 mars 2009

Il Combattimento di Tancredi et di Clorinda

Fonte d'il testo

Testo:

Tancredi che Clorinda un homo stima
vuoi ne l'armi provarla al paragone
Va girando colei l' alpestre cima
verso altra porta, ove d'entrar dispone.

Segue egli impetuoso, onde assai prima
che giunga, in guisa avvien che d'armi suone
ch'ella si volge e grida:

Clorinda:

O tu. che porte,
correndo si?

Testo :

Risponde:

Tancredi :

E guerra e morte.

Clorinda:

Guerra e mort' havrai,

Testo :

Disse.

Clorinda:

Lo non rifiuto
darlati, se la cerchi e fermo attende.

Testo:

Ne vuol Tancredi che ch' ebbe a piè veduto
ha il suo nemico. usar cavallo, e scende.
E impugna 1'un'e l'altro il ferro acuto,

ed aguzza l'orgoglio
e l'ira accende;
e vansi incontro a passi tardi e lenti
qual due tori gelosi e d'ira ardenti.

Notte, che nel profondo oscuro seno
chiudesti e nell' oblio fatto si grande,
degne d'un chiaro sol, degne d'un pieno
theatro, opre sarian si memorande.

Piacciati ch' indi il tragga e'n bel sereno
a le future età lo spieghi e mande.
viva la fama lor; e tra lor gloria
splende dal fosco tuo l'alta memoria.

Non schivar, non parar. non pur ritrarsi
voglion costor, ne qui destrezza ha parte.
Non danno i colpi hor finti, hor pieni, hor scarsi:
toglie l'ombra e' l furor 1'uso dell'arte.
Odi le spade orribilmenti urtarsi
a mezzo il ferro: e' l piè d'orma non parte:
sempre il piè fermo e la man sempre in moto,
ne scende taglio invan, ne punta a voto.
L'onta irrita lo sdegno alla vendetta,
e la vendetta poi l'onta rinova:
onde sempre al ferir, sempre alla fretta
stimol novo s'assiunge e piaga nova.
D'hor in hor più si mesce a più ristretta
si fa la pugna. e spada oprar non giova:
dansi con pomi. e infelloniti e crudi
cozzan con gli elmi insieme e con gli scudi.
Tre volte il cavalier la donna stringe
con le robuste braccia, e altrettante
poi da quei nodi tenaci ella si scinge,

nodi di fier nemico e non d'amante.
Tornano al ferro. e l'un e l'altro il tinge
di molto sangue e stanco ed anelante
e questi e quegli alfin pur si ritira,
e dopo lungo faticar respira.
L'un l'altro guarda, e del suo corpo esangue
su' l pomo della spada appoggia il peso.
Già de 1'ultima stella il raggio langue
sul primo arbor ch'è in oriente acceso.
Vede Tancredi in maggior copia il sangue
dei suo nemico e se non tanto offeso
ne gode e insuperbisce. Oh nostra folle
mente ch'ogni aura di fortuna estolle!
Misero. di che godi? Oh quanto mesti
fiano i trionfi ed infelice il vanto!
Gli occhi tuoi pagheran (s'in vita resti)
di quel sangue ogni stilla un mar di pianto.
Cosi tacendo e rimirando, questi
sanguinosi guerrier cessaro alquanto.
Ruppe il silenzio alfin Tancredi e disse
perché il suo nome l'un altro scoprisse:

Tancredi:

Nostra sventura è benche qui s'impieghi
tanto valor, dove silenzio il copra.
Ma poi che sorte ria vien che ci nieghi
e Iode e testimon degni de l' opra
pregoti (se fra l'armi han loco i prieghi)
che' l tuo nome e' l tuo stato a me tu scopra.
accio ch' io sappia. o vinto o vincitore,
chi la mia morte o la mia vittoria honore.

Testo:

Rispose la feroce:

Clorinda:

Indarno chiedi
quel ch' ho per uso di non far palese.
Ma chiunque io mi sia, tu innanzi vedi
un di quei due che la gran torre accese.

Testo:

Arse di sdegno a quel parlar Tancredi:

Tancredi:

E in mal punto il dicesti (indi riprese)
e' l tuo dir e' l tacer di par m'alletta,
barbare discortese, alla vendetta.

Testo:

Torna l'ira nei cori e li trasporta
Benche deboli, in guerra. A fiera pugna!
U'l'arte in bando, u'già la forza e morta.
ove, invece, d'entrambi il furor pugna!
O che sanguigna e spaziosa porta
fa l'una e l'altra spada, ovunque giugna
nell'armi e nelle carni! e se la vita
non esce, sdegno tienla al petto unita.
Ma ecco homai, l'hora fatal è giunta
che'l viver di Clorinda al suo fin deve.
Spinge egli il ferro net bel sen di punta
che vi s'immerge e'l sangue avido beve;
e la veste, che d'or vago trapunta
le mammelle stringea tenera e lieve,
l'empie d'un caldo fiume. Elle già sente
morirsi, e'l piè le manca egro e languente.
Segue egli la vittoria, e la trafitta
vergine minacciando in calza e preme.
Ella mentre cadea, la voce afflitta
movendo, disse le parole estreme:
parole, ch'a lei novo spirio addita,
spirto di fè, di carità, di speme:
virtù che Dio l'infonde, e se rubella
in vita fu, la vuol in morte ancella.

Clorinda:

Amico, hai vinto. lo ti perdon ... perdona
tu ancora, al corpo no, che nulla pave,
all' alma si: deh! per lei prega, e dona
battesmo a me ch'ogni rnia colpa lave.

Testo:

In queste voci languide risuona
un non so che di flebile e soave
ch'ai cor gli scende ed ogni sdegno ammorza,
e gli occhi a lagrimar invoglia e sforza.
Poco quindi lontan nel sen d'un monte
scaturia mormorando ou picciol rio.
Egli v'accorse e l'elmo empiè nel fonte,
e tornò mesto al grande ufficio e pio.
Tremar senti la man, mentre le fronte
non conosciuta ancor sciolse e scoprio.
La vide e la conobbe: e restò senza
e voce e moto. Ahi vista! Ahi conoscenza!
Non morì già, che sue virtuti accolse
tutte in quel punto e in guardia al cor le mise,
e premendo il suo affanno a darsi volse
vita con l'acqua chi col ferro uccise.
Mentre egli il suon de 'sacri derti sciolse.
colei di gioia trasmutossi, e rise;
e in atto di morir lieta e vivace
dir parea:

Clorinda:

S'apre il ciel: io vado in pace.

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